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E’ stato appena pubblicato un documento da Save the Childre, la nona edizione del rapporto dal titolo “Le Equilibriste – La maternità in Italia”.

E’ un rapporto che consiglio vivamente di leggere del quale ho provato a riportarne alcuni stralci e riflessioni in questo articolo.

La situazione descritta non è molto rosea. Al di là di un crescente problema di natalità, attualmente il nostro paese è uno di quelli con il più ampio fertility-gap (discrepanza tra desiderio di avere figli e la concretizzazione di questo desiderio).

Ma voglio concentrarmi su alcuni aspetti più specifici.
Ad esempio, il divario di genere tra uomini e donne nell’occupazione retribuita è del 17,4%; nella fascia 25-54 anni il divario aumenta fino al 34% quando le donne hanno un figlio.

Nelle dimissioni volontarie, per il 50% delle donne le principali ragioni sono legate alla necessità di conciliare il lavoro con la vita familiare dopo la nascita di un figlio e le condizioni economiche nel 19%.

Inoltre emerge che molte delle differenze riportate non siano dovute solo a caratteristiche individuali ma anche da altri fattori come discriminazioni di genere, dinamiche di mercato, politiche aziendali e altre disuguaglianze sistemiche nel trattamento di lavoratrici e lavoratori.

Un altro numero ha catturato la mia attenzione. Nella fascia 25-49 anni, una donna su 5 (20%) spende oltre 10 ore al giorno alla cura dei figli contro il 6% degli uomini.

Nel 2018 una media di 5 ore circa al giorno contro un’ora e 48 minuti degli uomini.

Come menzionato nel rapporto nonostante il grande dibattito pubblico e gli interventi normativi le dimissioni delle mamme per esigenze di cura dei figli sono aumentate. Soprattutto entro il primo anno di età del figlio segnando così questo periodo come uno dei più critici.

Ma ci sono altre dimensioni da prendere in esame, nel 2023 veniva riportato come centrale il benessere emotivo e psicologico delle neo-madri sottolineando il senso di solitudine, la mancanza di tempo per sé e la scarsità di sostegno psicologico dopo il parto.

Molto, molto interessanti, le analisi sulle differenti politiche attuate in 4 diversi paesi. Interessanti perché mettono in mostra anche differenze culturali nella scelta di quale linea seguire.

Un punto però emerge su tutti, “perché le riforme abbiano un effetto positivo ci dev’essere stabilità: le frequenti riforme e inversioni delle politiche familiari le rendono imprevedibili, poco affidabili e confuse”. Potenzialmente con un impatto negativo.

Quindi, che fare?

Al termine del rapporto vengono citati alcuni punti tra cui evitare misure una tantum e orientarsi invece verso riforme sistemiche.
Promuovere un clima culturale volto a scardinare stereotipi di genere per favorire la condivisione della cura tra padri e madri e costruire un modello economico e di lavoro basato sulla parità.

Azioni (es. congedi) orientate a facilitare praticamente le azioni di condivisione, un welfare maggiore e politiche sul lavoro che promuovano la sicurezza e la tutela, e infine, maggiori servizi per la prima infanzia

Purtroppo c’è una grande vuoto, a parte qualche riferimento veloce, mancano numeri e suggerimenti in merito alle libere professioniste e liberi professionisti.

Ed è un vuoto enorme poiché attualmente se le tutele ci sono (anche se non sufficienti) per le dipendenti, sono quasi nulle per le libere professioniste e in ottica di cura condivisa, anche per i liberi professionisti.

Sono mesi che mi confronto sul tema con molte colleghe ma anche colleghi e da questi confronti sono emerse situazioni molto diverse ma preoccupazioni e timori molto simili.

Insomma, c’è da chiedersi se decidere di avere o no dei figli è veramente una scelta o in realtà viviamo in una sorta di comunicazione paradossale sociale. In una società che ti dice che puoi scegliere (anzi devi visto le poche nascite) ma allo stesso tempo non crea le basi perché questo si concretizzi.

Ed è così che nascono sentimenti d’inadeguatezza, impotenza, ansie e sensi di colpa.

Qui per scaricare il report completo.