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Senza ombra di dubbio alla categoria degli psicologi (che per il 95% è composta da liberi professionisti) dovrebbe interessare una proposta appena passata alla Camera riguardante appunto l’equo compenso.

Ma facciamo un piccolo passo indietro. Con l’introduzione del decreto Bersani (D.L. 223/2006) sono stati eliminati i minimi tariffari; tale legge non fu digerita molto bene da alcuni consigli degli Ordini. Il punto sollevato riguardava il decoro professionale e come questo andasse a decadere con l’abolizione dei minimi tariffari. Inoltre, secondo alcuni questa legge ha facilitato solo le parti più forti come imprese ed enti pubblici.

Più vicino ai giorni nostri, nel 2017, è entrata in vigore la legge sull’equo compenso per i professionisti (D.L. 148/2017). Tale legge chiarisce che il compenso deve essere proporzionato alla tipologia di lavoro svolto ed è previsto che le clausole contrattuali siano nulle in casi particolari. Inoltre, specifica che per la valutazione dell’equità del compenso pattuito si rimanda ai decreti ministeriali per i parametri utilizzati nei tribunali (D.M. n.165 del 2016 per le professioni sanitarie; qui il file, con le tabelle relative alle prestazioni psicologiche).

Tale legge si applica alle varie professioni che svolgono prestazioni verso assicurazioni, grandi imprese, banche e Pubblica Amministrazione. Soggetti particolarmente “forti” contrattualmente.

L’unica criticità sollevata a suo tempo è stata quella da parte dell’antitrust che intravedeva con questa legge una reintroduzione delle tariffe minime abolite con la legge Bersani.

Ma torniamo ai giorni nostri e alla legge appena passata alla Camera. Attualmente il testo prevede 13 articoli atti a definire l’equo compenso, a specificare a quali attività professionali si applica, le caratteristiche che rendono nulle le clausole contrattuali, altri aspetti ed anche le disposizioni deontologiche volte a sanzionare il professionista.

Qui di seguito alcuni degli articoli presentati in questa legge con i relativi commenti. Si invita il lettore a leggere il testo esteso presente a questo link.

Art. 1 Definizione di equo compenso

“[…] per equo compenso si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale […]” Per i professionisti iscritti agli ordini la legge prevede che i compensi siano conformi a quanto previsto dai decreti ministeriali.

Art. 2 A chi si applica

La legge specifica che si applica a quelle prestazioni che hanno come oggetto una prestazione intellettuale verso: imprese bancarie, assicurative, imprese che nell’anno precedente all’incarico hanno avuto più di 50 dipendenti o ricavi superiori ai 10 milioni di euro, Pubblica Amministrazione e società a partecipazione pubblica.

Art. 3 Nullità delle clausole

Stabilisce la nullità di quelle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato come definito dall’art.1. L’articolo riporta tutta una serie di casistiche specifiche. Al comma 5 viene stabilito che il professionista per far valere la nullità della pattuizione e richiedere la rideterminazione del compenso può farlo innanzi al tribunale (che si avvarrà dei parametri ministeriali in vigore) dove il professionista risiede o è domiciliato.

Il professionista che rientra all’interno di quelle professioni ordinistiche può richiedere il parere di congruità del compenso al proprio ordine.

Art. 4 A chi spetta la rideterminazione del compenso

Nell’articolo si chiarisce che sta al giudice, una volta che è effettivamente dimostrata l’iniquità del compenso, rideterminarlo in favore del professionista e che può inoltre condannare il cliente a pagare anche fino al doppio della differenza.

Art. 5 Disciplina dell’equo compenso e Ordini

Il secondo comma prevede che la prescrizione del diritto del professionista al pagamento dell’onorario decorra nel momento in cui cessa il rapporto con l’impresa.

Comma 4 e 5 riguardano invece gli ordini e i collegi professionali.

Nel comma 4 si specifica che i consigli nazionali possono agire in giudizio in caso di violazione delle disposizioni in materia di equo compenso.

Nel comma 5 invece la legge demanda agli ordini il compito di introdurre delle norme deontologiche per sanzionare il professionista che viola le disposizioni sull’equo compenso o nel caso il professionista ometta di esplicitare alla controparte che il compenso dovrà comunque rispettare tale disciplina.

Questi due ultimi commi sono particolarmente importanti. In poche parole l’ordine professionale può direttamente avviare un’azione giudiziaria e infine la legge prevede l’introduzione di norme deontologiche specifiche con una ricaduta verso quei colleghi che applicano tariffe non congrue (ad esempio al ribasso) rispetto alla prestazione pattuita.

Ora la proposta dovrà passare al Senato. E’ indubbio che per quanto sia una proposta atta a tutelare le professioni (anche da parte degli ordini stessi) scopre il fianco ad una serie di criticità come ad esempio il fatto che il campo d’azione di questa proposta risulta essere limitato (art.2) e gli atti sanzionatori e deontologici previsti (art.5 comma 5).